Timori di obsolescenza
Come sei invecchiato, caro telefono!
Se il vostro telefono cade dal terzo piano, se va smarrito nel corso di un rave o se qualcuno se lo inguatta mentre siete distratti, non ci sono scuse: dovete sostituirlo. Ma quando il vostro vecchio apparecchio è ancora perfettamente funzionante, come si fa a decidere se sostituirlo o meno con l'ultima luccicante novità comparsa sugli scaffali? Se optate per sostituzioni frequenti e troppo ravvicinate, rischiate di ritrovarvi tra le mani un dispositivo con differenze solo marginali rispetto a quello che avete anzitempo mandato in pensione.
Un generico termine di riferimento può essere fornito dalla formuletta "costo / ore di utilizzo". In questo modo, anche l'acquisto di un dispositivo che comporti una spesa relativamente elevata può essere giustificato e, in fin dei conti, logico. Se acquistate una costosa fotocamera reflex professionale e poi la usate solo per quindici giorni in agosto, un upgrade molto frequente sarebbe del tutto privo di senso.
I salti tecnologici davvero significativi tendono a verificarsi più o meno ogni tre anni. Se utilizzate il vostro smartphone solo per telefonare, scattare foto in modo occasionale e controllare l'e-mail sul tram, un upgrade ogni tre anni o poco meno non è un'eresia. Se invece lo usate praticamente in ogni minuto dei vostri momenti di veglia, per guardare film, twittare e ricevere foto, orientarvi sulle strade e ricevere aggiornamenti sulle ultime notizie, può avere senso sostituirlo ogni 12-18 mesi. Saranno riconoscenti il vostro portafogli, innanzitutto, e l’ambiente in secondo luogo, perché vi sarà un telefono in meno in discarica (a meno che non troviate un acquirente per il vostro usato: c'è un grosso mercato, là fuori).
Se appartenete alla categoria dei maniaci delle novità a tutti costi, niente da fare, sostituite a volontà. Magari, fermatevi soltanto un attimo a riflettere su quello a cui potreste rinunciare per l'upgrade precoce del vostro cellulare: un viaggio, un abito nuovo, una poltrona più comoda.
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Da Arles ad Artaud, passando per McLean
NGM Van Gogh è un cellulare provvisto di auricolare incorporato, senza fili e staccabile. Ma perché chiamare un telefono con il nome di un pittore?
Perché chiamare un telefono con il nome di un pittore? Qualcuno lo ha interpretato come un’associazione con la famosa lite tra Gauguin e Van Gogh: alla fine, il pittore olandese si ritrovò con il lobo di un orecchio staccato. Seguendo questa logica, qualcuno ha pensato: auricolare che si stacca = orecchio che se ne va. Ora, a parte il fatto che la parte tagliata dell’orecchio di Vincent era appunto il lobo, cioè una parte dell’orecchio privo di funzione acustica (come sanno benissimo tutti coloro che lo perforano allegramente), si potrebbero anche cercare connessioni meno fosche, magari con i colori, il senso di libertà, etc. Personalmente, parlando di Van Gogh, tre sono le suggestioni che mi vengono alla mente. Innanzitutto Arles e la Provenza. Luce abbagliante, grano, girasoli, lavanda, notti stellate, un Gigondas da sorseggiare. La solarità del paesaggio mediterraneo è tutta assorbita e ricompresa in una sequenza enorme ed irripetibile di tele dipinte nel giro di due soli anni. Un’attività febbrile, scandita dall’alternanza di luce e buio, dal contrasto di colori chiari e scuri, da fasi di lucidità e momenti di squilibrio.
Poi, Antonin Artaud. Perché nessuno come lui ha saputo dare una voce folgorante a quella ricerca di anarchia e assoluto (assoluta anarchia?) che lo accomuna con il pittore olandese: entrambi suicidati dalla società, entrambi alienati nel senso più vero della parola (cioè divenuti altro da sé, trasformati in una sorta di figure teatrali che possono concedersi il lusso di deridere il mondo ed esserne scioccamente derisi), entrambi “venuti alla luce”, seppure in modo diverso, nell’assolato Midi francese.
Infine, Vincent una canzone scritta da Don McLean nel lontano 1971, appunto in omaggio a Van Gogh. Un po’ mielosa, come è nello stile dell’autore, ma comunque bella. Da bambino l’avevo ascoltata come colonna sonora dello sceneggiato TV Lungo il fiume e sull’acqua e la melodia mi era rimasta in testa per anni; l’avrei poi ritrovata anni dopo in un episodio della stagione 4 dei Simpsons (quando si dice la contaminazione fra cultura 'alta' e 'bassa'). La trovate qui in accostamento ai quadri di Vincent.
Per chiudere il cerchio, avrei preferito una canzone di Nick Drake, il musicista folk inglese la cui parabola esistenziale ricorda per molti versi quella di Van Gogh (ignorato in vita, celebrato come un autore geniale dopo la sua morte prematura); poiché Drake non ha mai scritto canzoni su Van Gogh, ripiego su questo altro accostamento tra il breve brano Horn (dal suo capolavoro Pink Moon) e alcune tele celeberrime.
Quali sono le vostre personali associazioni con Van Gogh e le sue opere? Quali emozioni vi suscitano?
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